Resoconto del Simposio di Mendrisio 2019


Il 02 febbraio 2019, presso l'Ospedale Psichiatrico Cantonale di Mendrisio, si è svolto il terzo Simposio sul tema "La relazione che cura: attualità della tecnica e del pensiero di Gaetano Benedetti", di cui è possibile trovare tutti i dettagli facendo click QUI.

L'evento è stato aperto dai saluti della Dott.ssa Raffaella Ada COLOMBO, Direttrice della Clinica Psichiatrica Cantonale (CPC), dell'On. Samuele Cavadini, Sindaco di Mendrisio, e della Dott.ssa Azzurra Benedetti a nome della Fondazione Benedetti. È dunque seguita la presentazione del Dr.med. Lic. phil I Carlo CALANCHINI, che ha fatto da preludio all'evento principale con gli interventi dei relatori, di cui riportiamo qui di seguito gli estratti:


Abstract degli interventi dei relatori

Chi ha paura del soggetto transizionale? Psicopatologia dell'inclusione nel pensiero di Benedetti

Giovanni Smerieri

Gianni e Luigi, attraversando le paludi della psicosi, indicano le tracce interne per accompagnarli verso terre più salubri. Gianni "Se non mi amano non vedo il positivo" e Luigi "Tu mi vuoi definire ma io sono una persona: la definizione mi annulla". È l'amore curante che, nel dialogo reciproco, dà vita al soggetto transizionale

"Che nasce dalla consapevolezza che il dolore è radicato nella struttura stessa dell'amore e la reazione morale è dare significato al dolore"

Gaetano Benedetti

Oggi la società tecnologica e consumistica getta discredito sul senso della sofferenza umana (colpa, male, morte) e la dipinge come espressione di civiltà superate. Pochi si oppongono con lucidità, coerenza, ispirazione e autorevolezza al tentativo di

"Evacuare, pervertire, sovvertire, uccidere il dolore che essere umanamente vivi comporta"

T.H. Ogden

Benedetti ci ha insegnato a stare nella esclusione del vissuto psicotico con l'inclusione del vissuto umano "Nella sofferenza psicotica si incontrano i più gravi problemi della mente umana. Affrontarli significa illuminare l'essere umano con significazione e senso. Aumenta la comprensione dell'essere umano in generale".

La psicopatologia dell'inclusione sottende il tragico destino dell'essere umano: l'irriducibile solitudine biologica e la misteriosa presenza dell'altro nella nostra genetica, la straordinaria unicità che si fa specchio parlante nella solitudine del sogno e la magica perfezione duale che si fa specchio vivente e battesimo del sé nella luce del giorno.

"La psicopatologia è l'espressione più radicale della mancanza …e senza una vera percezione del dolore altrui non esiste alcuna psicoterapia e l'identificazione parziale con il sofferente è l'aspetto fondante di ogni terapia del dolore psichico"

Gaetano Benedetti

Il sogno di Gaetano Benedetti

Claudia Bartocci

"Il Soggetto Transizionale" è un concetto centrale nell'opera di Gaetano Benedetti.

Benedetti ha descritto il "Soggetto Transizionale" qualche anno prima di T.H. Ogden.

Il terzo analitico intersoggettivo, di cui parla Ogden, è però quasi completamente sovrapponibile al Soggetto Transizionale: un Terzo co-creato dalla soggettività di analista e paziente, capace di agire indipendentemente da entrambi.

Per questo Benedetti ha preferito chiamarlo "Soggetto" e non, come Winnicott, "Oggetto".

"Soggetto" anche perché, nel caso di pazienti schizofrenici, questa entità, formatasi grazie alla relazione terapeutica, rappresenta la prima larvale forma di identità possibile.

I concetti psicoanalitici si riferiscono a fenomeni presenti in ogni relazione umana che semplicemente la psicoanalisi isola ed utilizza a scopo terapeutico.

IL SOGGETTO TRANSIZIONALE nato dalla relazione tra Gaetano Benedetti e me ha portato alla "co-creazione" di due testi: "Una vita accanto alla sofferenza mentale. Seminari clinico-teorici 1973-1996" e "Il sogno in analisi e i suoi palcoscenici".

In quest'ultimo testo un capitolo "Il sogno come creazione di realtà psichica" è sorprendentemente profondo ed intenso. Un'eredità importante che considero il corollario teorico al grande lavoro di Gaetano Benedetti come clinico e supervisore.

Nella mia relazione presenterò quindi gli ultimi due casi seguiti in supervisione con lui evidenziando lo stretto legame tra i movimenti della coppia analista/supervisore e analista/paziente.

"Nel trattamento delle psicosi noi dobbiamo pensare all'inverso: quello che viene prima è il movimento terapeutico. Da lì nasce l'identificazione. L'identificazione del paziente, se avviene, è la contro identificazione."

Gaetano Benedetti

Il "transfert del terapeuta" nasce quindi come creazione e proiezione di quelle immagini che il paziente psicotico non sa creare e proiettare.

Quanto più il paziente è grave e primitiva la forma delle sue comunicazioni, tanto maggiore sarà il ruolo del controtransfert. Con il paziente psicotico, la terapia è analitica solo nella misura in cui l'analista è disposto ad analizzare continuamente se stesso nell'incontro con il malato e a promuovere il cambiamento all'interno dello "spazio potenziale" rappresentato dalla seduta analitica, attraverso associazioni che seguono le linee del lavoro onirico così come Freud lo descrive.

Analista e paziente cioè si sognano reciprocamente, ritornando in tal modo regressivamente e ricorrentemente ad una relazione oggettuale primitiva e profondamente trasformativa.

"Nei sogni noi veniamo confrontati con gli aspetti ombra del nostro Sé, affinché ci sia possibile vederli ed assimilarli. E penso che l'assimilazione possa avvenire, silenziosamente, per il fatto stesso che nella psiche c'è un luogo, sia pure solo onirico, ove il rimosso ed il non verbalizzato esistono"

Gaetano Benedetti

Il primo caso riguarda una paziente schizofrenica che, in corso di trattamento, realizza un significativo passaggio dal "sogno coatto della veglia" (così Benedetti ha descritto il delirio) al sogno prima e alla creatività artistica poi.

Il secondo caso, relativo ad una paziente molto grave, permette di descrivere l'effetto delle "azioni interpretative": interventi pre-cognitivi che bypassano le difese razionali del paziente.

Anche il concetto di "AZIONE INTERPRETATIVA" era (e continua ad essere) estremamente innovativo.

Il ruolo del soggetto transizionale di Gaetano Benedetti nello sviluppo del pensiero psicoanalitico

Maurizio Peciccia

L'oggetto transizionale è un notissimo concetto di Winnicott relativo allo sviluppo psicologico del bambino che Gaetano Benedetti ha ampliato e collocato nell'ambito della relazione psicoterapeutica con il paziente psicotico.

Nella visione di Benedetti l'oggetto transizionale assume la qualità di soggetto dotato di una propria autonomia ed intenzionalità terapeutica che pur rimanendo in dialettica con il paziente ed il terapeuta, si rende indipendente dagli attori dell'incontro analitico, pensato come una relazione triadica.

Il soggetto transizionale è presente in ogni rapporto profondo e in ogni psicoterapia ma la sua presenza e la sua qualità di attore agente (spesso poco riconosciuta) nella scena analitica è stata rilevata e descritta teoricamente solo alla fine degli anni '80. Una delle prime definizioni del soggetto transizionale è la seguente:

"Con il termine di soggetto transizionale comprendiamo un soggetto fantasmatico dai tratti del paziente e del terapeuta che origina nel corso della psicoterapia dalla identificazione e dalla contro-identificazione, dal transfert e dal contro-transfert"

Gaetano Benedetti, Maurizio Peciccia

Si tratta di un soggetto fantasmatico che emerge nella psicoterapia dall'elaborazione di desideri e fantasie inconsce del paziente e dell'analista e dalle loro reciproche identificazioni.

Il soggetto transizionale deriva non soltanto dalle identificazioni reciproche ma anche da un equilibrio tra processi di identificazione e differenziazione, di unione e di separazione tra paziente e analista (Benedetti e Peciccia 1994; Peciccia e Benedetti, 1996).

Oggi i concetti di identificazione e differenziazione, un tempo esclusivamente psicodinamici, hanno una base biologica il che rende possibile un dialogo tra psicoanalisi e neuroscienze e ricerche empiriche su queste tematiche.

Nella relazione presenterò disegni eseguiti nella psicoterapia con pazienti psicotici in cui si evidenzia il soggetto transizionale.

G. Benedetti e F. Palacio Espasa: la psicoterapia come cura del disagio psichico nell'autismo infantile ad alto funzionamento

Paolo Vassallo

Nella mia relazione al Simposio di Mendrisio cercherò di rendere comprensibile e chiara la mia esperienza di cura dell'autismo ad alto funzionamento. Attraverso la descrizione di tre casi clinici caratteristici di tre fasi dello sviluppo psicologico in età evolutiva, descriverò come la psicoterapia psicoanalitica possa agevolare il consolidamento e l'evoluzione dell'Io di questi soggetti. In questi percorsi terapeutici, potremo osservare l'evoluzione positiva delle loro patologie, che ha permesso un miglioramento delle loro difficoltà e un'evoluzione nella vita sociale e relazionale. In sintonia con l'interpretazione psicoanalitica che Palacio Espasa dà delle evoluzioni positive dell'autismo infantile, e che Benedetti descrive a proposito dell'uscita dalla fase autistica della schizofrenia, partirò dal primo dei tre casi: Tino di 8 anni di cui analizzeremo l'evoluzione attraverso i disegni e le verbalizzazioni in seduta. Proseguiremo con Antonio pre- adolescente di 12 anni, per concludere con Federico di 17 anni di cui potremo analizzare lo sviluppo psicopatologico in seduta anche dal punto di vista della pulsione sessuale.

Dentro l'immagine: dal soggetto transizionale alla tecnologia immersiva

Simone Donnari

L'intervento sarà strutturato in tre parti. Partendo dalla definizione di soggetto transizionale di Benedetti si mostrerà una modalità operativa che si avvale anche di strumenti tecnologici di ultima generazione adottata con pazienti autistici e psicotici. Saranno mostrati video.

Nella seconda parte ci si soffermerà su quelli che sono i riferimenti teorici dal punto di vista psicoanalitico e delle neuroscienze.

Nella terza parte sarà proiettato un'anteprima del documentario che sto realizzando in ricordo della figura di Gaetano Benedetti con immagini della sua vita ed estratti da interviste che sto realizzando tra i suoi allievi (Lilia d'Alfonso).

Benedetti introduce il concetto di "soggetto transizionale" descrivendolo come

"una figura che riunisce in sé i due versanti del paziente e dell'analista... che può anche essere una proiezione visiva del paziente, una voce allucinata, una produzione del delirio, un'opera artistica, ma anche un sogno o una fantasia dell'analista... Il soggetto transizionale, che agisce talora indipendentemente dal terapeuta e dal paziente, è dunque il terzo soggetto accanto al paziente e all'analista"

Gaetano Benedetti - 1991 - pp. 110-111

L'identificazione parziale del terapeuta con il paziente conduce ad una identificazione simmetrica del paziente con l'immagine che il terapeuta delinea di lui in uno spazio che si può chiamare "spazio terapeutico comune".

Questa costruzione teorica, partendo dai principi dell'intervento arteterapeutico, dallo "spazio terapeutico comune" di Benedetti e dal "terzo analitico" di Ogden, delinea il concetto di "spazio terzo" nell'approccio di intervento del Centro Atlas.

Lo spazio terzo rappresenta uno spazio neutro (un disegno o uno schermo digitale), che è presente nel setting di intervento insieme all'utente e al terapeuta. In questo spazio entrambi possono proiettare gli aspetti del proprio Sé, rispecchiarsi e relazionarsi in un'atmosfera "incorniciata" ed accogliente.

L'incorniciamento in questi termini è inteso come spazio delimitato e contenitivo (i confini del foglio o la grandezza dello schermo) che, riducendo il campo visivo e attentivo, consente all'utente di concentrarsi ed immergersi senza essere condizionato o disturbato dagli stimoli della realtà esterna. Allo stesso tempo questo spazio funge da contenitore degli aspetti del Sé di utente e terapeuta e consente di promuovere un processo creativo.

Secondo i principi di intervento in arteterapia, il processo creativo all'interno di una relazione terapeutica è quell'esperienza complessa che porta alla creazione di un'immagine e che, oltre ad avere un riscontro esterno nel prodotto artistico, ha risonanze interne profonde nel terzo analitico e dunque così assume una valenza terapeutica.

L'approccio promosso dal Centro Atlas comprende tecniche di arteterapia che sono rafforzate dall'utilizzo di strumenti tecnologici di nuova generazione, tra cui la realtà aumentata.

L'utilizzo delle nuove tecnologie, infatti, svolge un ruolo chiave nel catturare l'attenzione degli utenti quando tutte le altre tecniche risultano poco efficaci o falliscono.

La realtà aumentata, in particolare, consente di arricchire la percezione sensoriale mediante informazioni, manipolate e convogliate elettronicamente, che non sarebbero percepibili con i cinque sensi. Nella realtà aumentata l'individuo, pur vivendo la comune realtà fisica, percepisce ed usufruisce di informazioni aggiunte.

Vedendo se stesso rispecchiato nello schermo, l'utente sviluppa la capacità di autorappresentazione e al contempo viene riprodotta l'interazione attraverso l'inclusione del terapeuta.

Lo schermo digitale rappresenta, inoltre, un filtro della realtà mediante il quale è possibile ridurre gli elementi stressogeni, spostando la relazione da "vis à vis" a relazione in uno "spazio terzo" in cui è possibile proiettare gli aspetti del proprio Sé, rispecchiarsi e relazionarsi.

La tecnica consente all'utente di immergersi in un'immagine/disegno prescelti e di utilizzare un elemento grafico simbolico come avatar che, agganciato al corpo, può essere animato in real time.

L'utilizzo della drammatizzazione permette di esprimere il proprio vissuto interiore, proteggendo l'utente grazie all'utilizzo del simbolo scelto. Il paziente può quindi passare da essere "attore" ad essere "osservatore" del proprio vissuto, in un contesto relazionale con il terapeuta che, grazie allo schermo, risulta essere protettivo e meno invasivo.

Il software da noi realizzato può essere utilizzato anche in setting non terapeutici, come ad esempio in ambiente scolastico o museale al fine di favorire l'inclusione nel gruppo dei pari.

Può inoltre essere utilizzato per preparare l'utente ad affrontare eventi potenzialmente stressanti, come ad esempio andare dal parrucchiere, effettuare visite specialistiche o visitare luoghi nuovi.

Si può, dunque, passare dalla drammatizzazione alla simulazione, allenando l'utente alle possibili dinamiche di interazione con l'ambiente e diminuendo, quindi, il vissuto di "paura del nuovo" che può essere molto debilitante ad esempio nella sindrome autistica.

Un lapsus della psicoanalisi

Carla Weber

Le parole vive, in prima persona, di Gaetano Benedetti continuano a dare conto della potenza trasformativa della psicoanalisi qualora ciascuno di noi "scendesse laggiù". Sono parole che colgono nel segno e mostrano l'accesso a se stessi e all'altro nella contingenza di una relazione autorizzata da una finalità continuamente messa in discussione nell'intersoggettività.

Oggi più che mai abbiamo bisogno di considerare una certa rimozione dell'Unheimlichkeit nella pratica della psicoanalisi. Il perturbante fatica a fare i conti con l'ortodossia, con la normalizzazione e la riduzione di un paradigma che si ripara dietro l'ovvietà, la conformità. Il lapsus della psicoanalisi, inteso come scivolamento (lapsus, part. pass. di labi, scivolare) verso un addomesticamento, è rivelatore forse di una rimozione della complessità dell'intreccio Io-Es a favore di una semplificazione, che allinei la psicoanalisi ad un paradigma più newtoniano, più subordinato alle logiche della scienza classica. Quel modo di fare scienza che ha dato voce quasi esclusivamente al determinismo basato sull'osservazione distaccata, rimuovendo spesso la complessità circolare dei fenomeni.

Come possiamo leggere in maniera attuale la famosa espressione di Freud: "Dov'era l'Es, deve subentrare l'Io" (Wo Es war, soll Ich werden)? Come suggerisce opportunamente Lacan si tratta di andare oltre l'interpretazione ovvia con cui è stata intesa l'affermazione freudiana. Secondo Lacan, non è l'Io che bonifica l'Es attraendolo a sé come se fosse l'Es a essere portato verso la coscienza e a venirne padroneggiato. È piuttosto il nostro Io che è mobilitato dall'Es, con cui è sistematicamente e circolarmente intrecciato, a intervenire in un territorio sconosciuto e spesso impervio che in ogni modo concorre a costituirlo. Siamo noi insomma che andiamo verso l'inconscio e la condizione per andarci è il dialogo non la padronanza.

Da un punto di vista tecnico quindi nella triade circolare paziente-relazione-analista si pone come ambito di ricerca continua l'esigenza di agire principalmente su se stessi come analisti per poter sostenere la ricerca di sé da parte dell'altro mediante la relazione terapeutica. Ciò comporta una continua attenzione a elaborare una propensione, che esiste e che non va negata, a proiettare sul paziente il proprio disegno interno e i propri apparati conoscitivi. Comporta soprattutto una buona elaborazione della tendenza a rimuovere le specificità costitutive dell'Es volendole sanare con un dominio dell'Io. Non si tratta tuttavia di consegnarsi dall'altra parte, alla pretesa di rimuovere la rimozione. Se tendiamo alla rimozione della complessità dell'Es intrecciato all'Io, dobbiamo pur riconoscere che quella tendenza ci appartiene, dipende dal modo in cui siamo fatti e dal nostro bisogno di rassicurazione.

Se la psicoanalisi, allo stato attuale, mostra di aver interpretato l'espressione di Freud come una via per giungere a un Io che padroneggi l'Es, bisogna chiedersi perché. Non può essere solo un incidente di percorso ma induce a prendere sul serio la rimozione e la propensione al rimuovere, analizzandola e facendone materia di metodo e tecnica terapeutica. D'altra parte, bisogna pur tener conto, come ha documentato emblematicamente Foucault che "la volontà di sapere" ci appartiene e ci caratterizza e storicamente si è espressa, ad esempio, nella confessione, le cui affinità con la pratica psicoanalitica andrebbero sempre tenute in debita considerazione. Usando la confessione come metafora, non è difficile considerare un certo modo di abitare l'asimmetria relazionale, in cui la tentazione esplorativa, curiosa e soprattutto teleologica (quello che Foucault chiama nel quarto volume appena pubblicato de "La volontà di sapere", Les aveux de la chair), si esprime come: "piacere di esercitare un potere che interroga, sorveglia, indaga, spia, fruga, palpa, porta alla luce". Tentare di tenere a bada la propria teleologia o ideologia, sviluppando in sé la capacità di elaborarla contenendola può essere un compito operativo ma anche didattico per la pratica psicoanalitica. Probabilmente per questa via sarà maggiormente possibile accedere a quel contatto con il disagio "scendendo giù" dalla presunzione che rimuove e da una posizione che diversamente non si consegnerebbe alla complessità circolare della relazione terapeutica in cui Io e Es connotano la consonanza tra analista e paziente.


Comunicati ufficiali

Si riportano il comunicato stampa del lic. phil. I Giampaolo Baragiola e la relazione della nostra Fondazione all'Autorità di Vigilanza sulle Fondazioni del Dipartimento Federale dell'Interno della Confederazione Elvetica.

Comunicato stampa del lic. phil. I Giampaolo Baragiola
Comunicato stampa del lic. phil. I Giampaolo Baragiola
Relazione della S.I.B. all'Autorità di Vigilanza sulle Fondazioni
Relazione della S.I.B. all'Autorità di Vigilanza sulle Fondazioni del Dipartimento Federale dell'Interno della Confederazione Elvetica

Copertura mediatica

Si riportano di seguito alcuni articoli della stampa elvetica che hanno parlato dell'evento.

Corriere del Ticino - 22 Gennaio 2019
Corriere del Ticino - 22 Gennaio 2019
Engadiner Post - 31 Gennaio 2019
Engadiner Post - 31 Gennaio 2019

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